Il mercato di Bologna

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La costituzione di uno « spazio europeo d’insegnamento superiore » è inevitabile, se si vuole favorire la « mobilità e l’impiegabilità dei cittadini europei in tutto il continente ».E’ con questo spirito che 31 ministri europei dell’istruzione, riuniti a bologna il 19 giugno 1999, hanno firmato una dichiarazione comune. La mobilità rende necessaria « l’unificazione e la comparabilità » dell’insegnamento superiore. Peraltro si desidera promuovere il « controllo di qualità » e « la dimensione europea dell’insegnamento superiore;». Questo per la versione ufficiale…

Non è trascorso che un anno e mezzo da questa firma, che la Dichiarazione di Bologna resuscita un po’ di attenzione mediatica in Belgio. Essenzialmente grazie agli studenti della VUB che, a metà febbraio di quest’anno, protesteranno contro il suo contenuto occupando il rettorato della loro università. Il movimento acquista ampiezza. Il 7 marzo, alcuni studenti della VUB, della ’ULB e della UG manifersteranno a Bruxelles. Il 27 dello stesso mese, 500 studenti si riuniranno per una manifestazione nazionale. Una manifestazione meno modesta di ciò che potrebbe sembrare quando si pensa che essa si è svolta al margine delle grandi federazioni studentesche. Spesso le reazioni sono stupite e scettiche. Che diavolo si rinfaccia alla mobilità e alla qualità? E’ che dietro le belle parole si nasconde un programma che apre la strada alla commercializzazione e alla privatizzazione dell’insegnamento superiore.

Illegale

Prima di analizzare la Dichiarazione di Bologna, conviene sottolinearne il carattere non democratico e anche illegale. Debutto nel 1999, il Consiglio dei Ministri dell’UE aveva chiesto alla Conferenza dei Rettori dell’UE (CRE) quali fossero le riforme che s’imponevano nell’insegnamento superiore. Il CRE è complessivamente rappresentativo del mondo accademico e inoltre ha una relazione amorosa con l’ERT (la Tavola Rotonda europea degli Industriali), questo club di dirigenti industriali che hanno un potente impatto sul programma politico europeo, per non dire che lo dettano direttamente . La loro relazione è stata consacrata attraverso la creazione della CRE-ERT, lo European University-Industry Forum. Nota bene che nè la CRE nè l’ERT, e nemmeno il Conseil Education européen hanno la minima legittimità politica. Tale prerogativa rimane, nei termini del Trattato di Amsterdam, di esclusiva competenza degli Stati Membri. Quando il Conseil Education européen e la CE sviluppano dei progetti di riforma, quando si dà il compito di applicarli a dei ministri e a delle università, questi pretendono qualche libertà con i proncipi costituzionali che prevedono che tutte le riforme importanti debbano essere consacrate dal Parlamento.

Pià corto, più chiaro e più orientato

Uno degli obiettivi di Bologna è di uniformare la divisione dell’insegnamento superiore in due cicli. Benchè la dichiarazione propriamente lo dica anche se non esplicitamente, è generalmente ammesso che il primo ciclo duri tre anni e sia coronato da un diploma di « bachelor ». Questo diploma darà accesso agli studi di « Master », in uno o due anni. Guy Haug, consigliere della CRE, precisa l’obiettivo di tale suddivisione : « i governi hanno piani volti a ridurre la durata teorica degli studi e l’attrazione dei modelli che prospettano una prima qualifica breve seguita da un post-graduate per un ristretto numero di studenti, non ha smesso di aumentare. Questo permette di comprendere l’evoluzione verso i gradi di « bachelor » e di « master » nei diversi paesi ». In effetti Bologna non lascia alcun dubbio relativamente a questo punto: Il primo ciclo dovrebbe essere orientato verso il mercato del lavoro e sarà quindi la stazione d’arrivo per gli studi dei più . Solo una elite potrà proseguire verso la cima. Per realizzare questo si conta si costi d’iscrizione più elevati e sul numero chiuso, strumenti tradizionali di selezione. L’industria grida vittoria. Dopo il 1989, l’ERT chiede che venga ridotta la durata media degli studi. Essa s’indigna divedere che in Europa « si autorizza e si incoraggia perfino i giovani a seguire studi interessanti ma senza sbocchi professionali ». Sottolineamo che la triplicazione dei costi d’iscrizione e la soppressione degli orientamenti non conformi al mercato surono le prime misure perse dal ministro fascista austriaco dell’istruzione, membro del gabinetto brun-bleu.

Acquistate i vostri voti

Sotto la copertura della mobilità, Bologna vuole sviluppare il Sistema Europeo di trasferimento dei crediti (ECTS). In breve, tale sistema significa che ogni corso riceve un certo numero di « crediti ». Ufficialmente, l’ECTS deve facilitare lo scambio di studenti tra le università (tra gli altri nel quadro del programma Erasmus della Commissione europea). Grazie all’ECTS, gli studenti potrebbero seguire un certo numero di corsi nell’università straniera, dopodichè potrebbero valorizzare i propri « créditi » una volta tornati nel loro paese. Questo implica che le università riconoscano i crediti accordati altrove in Europa.
Ma questo ragionamento non tiene la strada. In effetti, i punti accreditati nel sistema attuale dipendono esclusivamente dal numero di ore dei corsi. In questo caso, perchè queste stesse ore di corsi non potrebbero servire da campione per la valorizzazione dei corsi seguiti altrove ? In realtà, c’è una « agenda nascosta ». Da una parte, « l’ECTS può contribuire alla riduzione della durata degli studi »1 , e dall’altra si prepara così il grande mercato mondiale dei servizi educativi che l’OMC a sua volta richiama. In questo mercato, i crediti giocheranno il ruolo di unità di misura. L’ECTS frammenta il curriculum in innumerevoli unità che saranno in seguito raggruppate in moduli e gettate in pasto al mercato dell’apprendistato nel corso di tutta la vita.2
E’ per questa ragione che l’ERT chiede che l’insegnamento per gli adulti e quello a distanza siano inclusi nel sistema dei crediti. 3 Bologna risponde favorevolmente a questa richiesta. Sotto pelle, la relazione tra crediti e numero di ore di corsi sarà analogamente superata. Si distingueranno allora differenti tipi di crediti per differenti corsi. Inutile precisare che i corsi che rispondono alle aspettative del mercato del lavoro riceveranno più punti.

La qualità regna e divide

Il terzo obiettivo di Bologna è una collaborazione europea nel dominio del « controllo qualità ». La qualità è una parola molto alla moda. Alcune riforme oggi non sono accettabili se non volgono a migliorare la « qualità ». Ma è molto difficile imparare cosa copra questo concetto di qualità. La Dichiarazione di Bologna non ne fa parola. Contrariamente alla direttiva europea del 1998 che stipula : « i criteri di controllo di qualità sono intrinsecamente legati agli obiettivi assegnati a ciascuna istituzione in relazione ai bisogni della società e del mercato del lavoro;» non sono altro, nel linguaggio istituzionale, che i bisogni delle imprese. Haug plaude senza ritegno alla creazione di un certo numero di agenzie che collaboreranno con l’industria per la valutazione dei corsi, per compararli e accreditarli (il chè significa letteralmente, dargli un credito). Da una parte queste agenzie saranno « uno strumento di comparazione e di controllo di qualità (benchmarking) ». Dall’altra, assicureranno una « informazione sul mercato ».5 In chiaro, ciò significa che grazie al controllo di qualità tutti marceranno nella stessa direzione, quella dettata dai mercati. A scala internazionale, organizzazioni come l’OCDE e l’Alleanza Globale per l’Educazione Transnazionale (GATE), non aspettano che un segno per prendere su di loro questo compito di accreditamento e di controllo della qualità. Una sola cosa è chiara : Lo stesso insegnamento superiore perderà il controllo sui contenuti dell’insegnamento e della ricerca .
Lo stadio successivo, è che la qualità determinerà il livello di finanziamento pubblico. « La valutazione esterna dovrà influire sul finanziamento pubblico »come si può sentire al Forum 2000, la conferenza di Bruxelles in cui i dirigenti universitari si sono concentrati sull’avvenire delle loro istituzioni.6 L’OCDE difende questo tipo di finanziamento dal 1987.7 Il problema era che un finanziamento che abbandona l’uguaglianza delle istituzioni è ancora contrario alla costituzione. Solo la Gran Bretagna conosceva già una relazione tra la valutazione di qualità e il finanziamento pubblico dell’insegnamento superiore. Ma non è affatto inimmaginabile che il resto dell’Europa segua presto il movimento. L’idea si aggira, in ogni caso, tra chi decide8 . Accanto a una gerarchia nei corsi, ci troviamo dunque di fronte a una gerarchizzazione dell’istituzione dell’istruzione superiore, con, alla sommità, un pugno di università di elite che collaborano strettamente con l’industria.

Do you speak English ?

Infine, Bologna si augura anche di introdurre una « dimensione europea » nell’insegnamento superiore. A fianco di una struttura di diplomi uniformi, di organi di qualità europea e di un sistema di crediti, bisogna intenderla attraverso l’uso ridondante della lingua inglese, soprattutto a livello di studi di « Master ». Ciò non è scritto testualmente nella Dichiarazione di Bologna, ma possiamo dedurlo da quello che la CRE ha fatto di questi accordi. Questo si esplica una volta di più grazie alla nascita di un mercato dell’insegnamento superiore. Inoltre, se i corsi commercializzati, i servizi educativi mercificati, volessero conquistare un numero maggiore di clienti, ci sarà l’inglese. E non saranno i dirigenti economici europei ad incaricarsi di questo imperialismo culturale.

L’economia impone la marcia

Riassumiamo. La Dichiarazione di Bologna s’iscrive chiaramente nella liberalizzazione del mercato dell’istruzione superiore. A causa della riduzione della durata degli studi, il cittadino è costretto a trasformarsi in consumatore sul mercato dell’istruzione per tutto il corso della sua vita , di « comprare » tutti i crediti che potrà accumulare. I sistemi d’istruzione superiore non saranno niente altro che delle imprese in cerca del massimo reddito vendendo sapere e ricerca. La lingua dominante di questo mercato è e sarà l’inglese. Il controllo di qualità farà sì che questo insegnamento sia orientato esclusivamente ai bisogni del mercato del lavoro, ai bisogni dell’industria. La divisione del curriculum e l’introduzione di un controllo di qualità garantiranno infine una gerarchia delle formazioni e dei sistemi d’insegnamento superiore, riflesso della gerarchia del mondo del lavoro.

1 Guy Haug, op. cit.
2 Lisez aussi dans ce numéro l’article de Nico Hirtt sur ce sujet
3 ERT (1995: 29): Onderwijs voor Europeanen. Op weg naar de lerende maatschappij en ERT (1989), op. cit., 10-12
4 Council Recommendation of 24 September 1998 on European cooperation in quality assurance in higher education (98/561/EC)
5 Guy Haug, op. cit.
6 Forum 2000 Answering to the challenges of higher education. http://www.unige.ch/cre/recent%20news/news_welcome.html
7 OCDE (1987): Quel avenir pour les universités? Paris: OCDE
8 Eurydice (2000, p. 100 -101) : Two decades of reform in higher education in Europe : 1980 onwards.Eurydice est une organisation satellite de la Commission européenne